Skip to main content

DEI PICCOLI SEGRETI

Da alcuni anni si è diffusa una sorta di moda, una caccia ai colori delle foglie che cambiano in autunno, al cosiddetto foliage delle piante caducifoglie.

Ma quanti di noi sanno cosa avviene davvero negli alberi e quali sono i meccanismi in apparenza magici o miracolosi e che permettono queste variazioni cromatiche così marcate, nel giro di poche settimane?

Vediamone allora alcuni particolari, per capire meglio cosa accade sotto i nostri occhi.

Assistiamo in pratica ad un processo che avviene quando…alcune “porte”, che fanno passare nutrienti fra rami e piccioli delle foglie, si chiudono interrompendo di fatto la fotosintesi.

Nel giro di poco tempo le foglie cambiano colore, fino a diventare marroni e cadere dall’albero. Questo permette alla pianta di entrare nel periodo chiamato quiescenza e ne rallenta tantissimo, o anche ne sospende, alcune funzioni vitali, come risposta a certi fattori ambientali/stagionali quali acqua, qualità e quantità della luce e temperatura. In pratica le piante si preparano ad una stagione di riposo con una sorta di letargo, riducendo al minimo le necessità ed i consumi.

IL GIOCO DEI COLORI

Prima di diventare marroni, però, possiamo assistere alla manifestazione di un tripudio di altri colori, cosa che avviene perché, una volta interrotta la fotosintesi, viene meno la produzione di clorofilla che conferisce la prevalenza di pigmenti verdi sotto i quali sono solitamente nascosti tutti gli altri. E’ solo in questa fase che finalmente possiamo vedere i colori dovuti ad altre sostanze presenti nelle foglie.

Come i carotenoidi, ad esempio, che conferiscono un caratteristico colore giallo ed arancio anche a mais e carote, e si suddividono nelle xantofille che colorano di giallo, e nei caroteni che colorano di arancio. I primi sono in genere una ossidazione dei secondi.

Ma anche i flavoni, che donano a tanti frutti, foglie e fiori il colore giallo.

Oppure gli antociani che regalano le colorazioni del rosso, del blu e del violetto, gradazioni dovute al variare del ph cellulare della pianta, più acido o basico. Servono pure a difendere le foglie dai raggi ultravioletti. Gli stessi sono responsabili del colore blu sia dei mirtilli che delle drupe del prugnolo e con con arrivano, con concentrazioni più intense, a donare il colore quasi viola agli aceri giapponesi.

Ed infine i tannini, che hanno molte funzioni, fra cui quella di proteggere le piante da chi se ne vuol cibare, rendendole indigeste e sgradevoli (la nota sensazione di bocca “felpata” che proviamo assaggiando vini col difetto di un eccesso di tannino, cosa ancora più marcata quando mettiamo in bocca una drupa immatura di prugnolo selvatico). Sono anche una risposta delle pianta a ciò che recepisce come un attacco, come ad esempio quando produce una galla come difesa da parassiti ed insetti.

Quando le foglie sono poi completamente secche, i vari pigmenti si mescolano, un po’ come quando da bambini giocavano a fare i pittori e, mescolando tutti i colori della tavolozza, veniva fuori un marrone un po’ spento al posto di quel colore fantastico che ci saremmo aspettati con la fantasia di bimbi. Gli stessi tannini contribuiscono a questo colore finale delle foglie ormai morte, assieme anche ai cataboliti, che sono le sostanze di scarto.

Si verifica l’apoptosi, cioè la morte programmata delle cellule della zona di abscissione delle foglie: dal suicidio delle foglie avvenuto al momento opportuno, dipende in questo caso la sopravvivenza dell’intera pianta.

Seppure quindi l’autunno prenda con sé diverse ore di luce, tutto ciò affascina e rende preziosa questa stagione.

SCONGIURARE LA NOSTALGIA DELL’ESTATE

Qualche volta, però, oltre a portar via pregiate ore diurne, porta via con sé anche diversi gradi centigradi. Addirittura a volte le temperature si abbassano parecchio ed in modo molto così repentino da rendere il passaggio stagionale ostico a molti.

Diventiamo facili prede della tentazione nel dare un’accezione negativa a questi cambiamenti, anche quando tutto intorno a noi parla ancora di ricchezza, seppure in mutate forme e colori.

Ci sentiamo scomodi ed impreparati ostaggi di una facile nostalgia verso l’estate, anche se quest’ultima può averci reso la vita molto difficile con temperature superiori ai 40 gradi e con notevoli percentuali di umidità. Strano no?

Forse dipende dalla nostra memoria labile, che ci rende pronti a concentrarci su nuove scomodità piuttosto che sulla ricerca di nuove possibilità.

Può tornarci allora utile ricordare anche solo alcuni dei generosi doni che l’autunno prodigo regala.

DELLE GRANDI RICCHEZZE

Ne citiamo solo alcune, che poi sono quelle vissute in prima persona proprio in questi giorni:

olive soprattutto da mensa, anche se siamo abituati a vederle trasformate in pregiato olio EVO di cui l’Italia è una fonte eccellente di qualità e quantità che il mondo ci invidia. E l’Abruzzo non fa eccezione;

castagne da raccogliere con una salutare e rilassante passeggiata nel bosco;

bacche/drupe/cinorrodi vari che si offrono a noi anche a quote basse, dove raccogliere è ancora più facile e non si ha bisogno ne di attrezzo alcuno ne di passeggiate in montagna.

Nei giorni scorsi è perciò stata una festa attingere a tanta abbondanza, a km zero e bio 100%.

Per ciascuna di queste specie ci sarebbero tante storie da raccontare ma intanto cominciamo con le olive, raccolte ovviamente da Olea europaea, la nostra amata pianta di Olivo, anche chiamata lu piticone, come si usa dalle mie parti.

Non sono una ricca proprietaria terriera, però fra le 5 piante di numero che vivono sulla mia terra, due sono le cultivar presenti: Dritta e Intosso. Per un’abruzzese fiera di essere nata nella propria regione, avere anche un solo esemplare di Intosso è una mano santa, direbbe mia nonna.

Il nome ha origine dal fatto che per renderle mangiabili, vanno addolcite, cioè ndosse.

L’OLIVO INTOSSO E IL PROCEDIMENTO “NDOSSE”

Avendone un solo esemplare, l’uso che meglio può celebrare le virtù dei frutti di questa pianta e che da sempre è stato l’utilizzo principale…è proprio la lavorazione ndosse, che di fatto le rende più dolci. Uso il procedimento della live ndosse usando la varietà Intosso. Ridondante, forse, ma di una bontà senza pari.

Lu ndosse è il procedimento che contemporaneamente fa ammorbidire le olive e fa perdere loro tutto l’amaro che contengono. Per un buon risultato un tempo si usava la cenere (il ranno) mentre per comodità, oggi, si usava la soda, coadiuvata da acqua e sale.

In realtà molti adoperano un po’ tutte le 25 varietà di olive presenti in Abruzzo per trasformarle in olive da tavola, anche se i puristi vorrebbero solo la Cucco e la Intosso.

Come anticipato, qui si parla di quest’ultima, che produce drupe dal peso sostanzioso, che sfiorano anche i 5 gr, dalla forma ellittica con un accenno di umbone all’apice e con raggio che raggiunge anche i 3 cm.

La varietà produce quindi olive molto grandi che un tempo erano sottovalutate ai fini della produzione di olio di oliva (molto rivalutato in tempi recenti per il fruttato verde intenso di erba tagliata e di carciofi appena raccolti, sapore importante e armonico fra piccante ed amaro, con sentori di noce fresca e pepe verde) e quindi da sempre utilizzata come oliva da mensa, per aperitivi e per condire pietanze varie.

Per addolcirle e renderle uno stuzzicante aperitivo, vanno raccolte ancora verdi, tra la fine di settembre ed i primi di ottobre o in base all’andamento della stagione. Ci sono precise proporzioni da rispettare (si parla di chimica, non di magia) per ottenere un buon prodotto: la ricetta che utilizzo prevede 20 gr di soda assieme a 50 gr di sale ed 1 lt di acqua per ogni kg di olive da trattare, da maneggiare con molta attenzione vista la presenza “caustica” della soda. Le olive vanno tenute a bagno dalle 12 alle 24 ore a seconda delle loro dimensioni, mescolandole più volte. In caso di dubbio, possiamo prenderne una e provare a staccare la polpa dal nocciolo e se questa viene via con una certa facilità allora sono pronte. Il secondo passo è scolarle e lavarle per rimetterle di nuovo a bagno usando le stesse dosi ma senza usare la soda. Dovremo poi cambiare l’acqua ogni giorno, usandone di nuova sempre con la stesse proporzioni fra sale/acqua/olive. Il tutto per 30 giorni circa, quando poi le laveremo per assaggiarle e vedere se sono pronte. A questo punto si può preparare la medesima miscela per la conservazione (non andrà quindi rinnovata ulteriormente) a cui potremo aggiungere dei gambi di finocchietto selvatico o delle foglie di alloro per arricchire ulteriormente il sapore delle nostre delizie.

CURARE IL CIBO

Ah… sapete come si indicano i procedimenti di conservazione e trasformazione di alcuni frutti? Curare. Più d’uno mi ha infatti chiesto come avrei curato le mie belle olive.

Trovo meraviglioso questo modo di dire, perché racconta dell’amore che un tempo si dedicava al cibo, della fatto che non fosse così scontato averlo sulla propria tavola, del tempo necessario per affinarlo e renderlo il più piacevole possibile, della dedizione che si perpetuava di anno in anno, con dei procedimenti che diventavano dei veri e propri riti di casa.

Ecco, a noi abruzzesi piace ancora molto celebrare tutto questo, rendere omaggio ai nostri genitori, nonni ed a tutti quelli che prima di loro hanno contribuito a creare le nostre radici profonde, forti e gentili.

Per oggi è tutto. Proseguiremo il nostro viaggio nelle ricchezze, parlando di castagne, cinorrodi e bacche in una prossima occasione dedicata esclusivamente a loro. Per continuare a celebrare questa stagione che ci parla di un tempo in cui la Natura si prepara al riposo ed invita anche noi a seguirla su questa strada, davanti ad un camino o una stufa, con un buon bicchiere di vino o di liquore come compagnia.

Leave a Reply

X